
A me è sempre piaciuto ascoltare musica mentre studio e lavoro. Per questo motivo sto preparando già da un po’ un megarticolo sull’argomento, che uscirà a fine settembre, e nel farlo mi sono imbattuto in alcune curiose ricerche scientifiche sul cosiddetto “Effetto Mozart”.
Si tratta di una teoria secondo la quale l’ascolto della Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV 448) di Wolfgang Amadeus Mozart è in grado di provocare un temporaneo aumento delle capacità cognitive.
Ovvero, l‘effetto Mozart ci fa diventare più intelligenti. Wow!
Ho chiesto allora a Gennaro Romagnoli, psicologo e psicoterapeuta, nonché direttore del blog SviluppoPersonaleScientifico, di preparare un breve resoconto delle ricerche scientifiche che hanno portato alla scoperta dell’ effetto Mozart.
Lo ringrazio quindi, e gli lascio la parola:
Una breve premessa
Viviamo in un momento davvero emozionante in quanto oggi più che in ogni altro tempo è possibile indagare sull’oggetto più misterioso e complesso che l’uomo conosca: il cervello.
Recentemente infatti si sono create procedure tecnologiche come la tomografia ad emissione di positroni e la risonanza magnetica che permettono ai ricercatori di studiare il cervello e come lavora nel suo modo più dettagliato.
Queste ricerche stanno aumentando rapidamente la nostra comprensione di vari disturbi mentali e disabilità, delle basi neurologiche del comportamento, della memoria e dell’apprendimento – cioè di, letteralmente, come pensiamo.
Fin dal 1989 si è osservato un tasso enorme di informazioni scientifiche sul cervello. E lo stesso sviluppo dell’informatica, che era diventato sufficiente e necessario per elaborare i dati neuro-scientifici, ottimizzando il lavoro sia ricercatori che medici, ha portato a dichiarare l’ultimo decennio del ventunesimo secolo “Il Decennio del cervello.”
Anche i cambiamenti negli atteggiamenti della comunità scientifica hanno aggiunto a questa collezione di conoscenze qualcosa di nuovo.
Per quasi un secolo infatti, la scienza della mente (psicologia) si è sviluppata in modo indipendente dalla scienza del cervello (neuroscienze). Gli psicologi cioè si sono interessati alle nostre funzioni mentali e alle capacità di come si apprende, ricorda, e pensa. Mentre i neuroscienziati si sono interessati a come il cervello sviluppa le sue funzioni.
Solo negli ultimi 15 anni o giù di lì che queste barriere e divisioni teoriche sono cadute.
Da questa nuova sinergia fra psicologia e neuroscienze stanno nascendo nuovi metodi di indagine e nuove interessanti teorie, come per esempio quella sull’effetto Mozart.
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Prime ricerche sull’ Effetto Mozart
Una delle prime sperimentazioni sull’effetto della musica sul cervello è stata condotto nel 1988, quando il neurobiologo Gordon Shaw, insieme con lo studente laureato Xiaodan Lung, ha tentato di studiare l’attività cerebrale attraverso un computer presso l’Università della California a Irvine.
Essi hanno scoperto nelle simulazioni che le cellule nervose sono collegati fra loro con gruppi di altre cellule predisposte ad adottare determinate frequenze in base a specifici ritmi musicali.
In seguito si unirono altri due ricercatori, Frances Rauscher e Katherine Ky, nella creazione di uno studio che fu ribattezzato con il nome di “Effetto Mozart“. Nel 14 ottobre 1993, l’esperimento venne pubblicato dalla rivista “Nature“, che ha pubblicato una breve sintesi dei risultati del loro esperimento.
(NOTA: la rivista “Nature” è la più prestigiosa rivista scientifica del mondo)
L’esperimento andò cosi. Un gruppo di persone ha ascoltato la selezione di Mozart (Sonata in re maggiore per due pianoforti, K488). Un secondo gruppo ha ascoltato ciò che venne chiamato “nastro di rilassamento” e il terzo gruppo è stato sottoposto a dieci minuti di silenzio.
Tutti gli studenti hanno avuto la stessa prova, che è stata progettata per misurare il QU spaziale.
Si tratta di un test chiamato Stanford-Binet, e misura l’ intelligenza dal punto di vista del ragionamento spaziale.
Il primo tipo di questo test risaliva al 1905 e comprendeva elementi come:
- Prensione provocata da una stimolo tattile
- Prensione provocata da una percezione visiva
- Riconoscimento di sapori di cibo diverso
- Esecuzione di comandi semplici e imitazioni di gesti semplici
- La conoscenza verbale di oggetti
- La conoscenza verbale di immagini
- Denominazione di oggetti designati
- Confronto immediato di due linee di diverse lunghezze
- La ripetizione di tre figure
- Confronto di due pesi
- Suggestionabilità
- Definizione verbale di oggetti conosciuti
- La ripetizione di frasi di quindici parole
- Confronto di oggetti conosciuti dalla memoria
- Esercizio di memoria su foto
- Disegnare un designo dalla memoria
- La ripetizione immediata delle figure
- Le somiglianze di diversi oggetti noti data dalla memoria
- Confronto di Lunghezze
- Cinque pesi da essere messi in ordine
Gli studenti che hanno ascoltato la sonata di Mozart in media hanno avuto un aumento di 9 punti nel loro quoziente d’intelligenza rispetto alla media degli studenti che avevano ascoltato il nastro relax o che avevano sperimentato il semplice silenzio.
L’aumento del QI del gruppo Mozart era però transitorio, cioè era durato solo il tempo necessario per fare il test: da dieci a quindici minuti.
Esperimenti successivi sull’effetto Mozart
Rauscher, Shaw, e Ky riproposero l’esperimento nel 1995 dividendo, stavolta, settantanove studenti in tre gruppi. Anche in questo caso, il gruppo che aveva ascoltato la selezione di Mozart mostrò un aumento dei punteggi del QI spaziale.
Inoltre un ulteriore test ha dimostrato che l’ascolto di altri tipi di musica (musica”dance” più moderna) non ha avuto lo stesso effetto.
Nel 1995, i ricercatori (Newman, Rosenbach, Burns, Latimer, Matocha, e Vogt) presso l’Università dello Stato di New York ad Albany hanno replicato la prova iniziale. Hanno però ampliato il gruppo di test a 114 soggetti, e la diffusione di età da 18 a 51 anni, con un’età media di 27,3.
Risultato? Non solo hanno trovato un aumento simile nel QI dopo l’ascolto di Mozart, ma i soggetti che hanno sentito un sottofondo musicale hanno avuto un maggior risultato uguale a quelli che hanno avuto lezioni di musica in precedenza, o comunque si è dimostrata una correlazione tra un maggiore QI e i soggetti che hanno una preferenza per la musica classica.
Si tratta dunque di studi interessantissimi, ma che sono anche stati parecchio contestati da una parte della comunità scientifica, che li ritiene poco attendibili. Nei prossimi anni, il progresso delle neuroscienze e delle tecniche di immagini cerebrale potrà forse dare risposte più definitive.
Sviluppo Personale Scientifico. com
Conclusioni
Ringrazio di nuovo Gennaro Romagnoli e il blog SviluppoPersonaleScientifico per il loro contributo. E naturalmente, siccome te ne sarà venuta la curiosità, ecco un video per ascoltare la musica utilizzata per gli esperimenti:
Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV 448) di Wolfgang Amadeus Mozart
Isabella Libra dice
Salve sono una pianista classica e docente di Conservatorio, ho appenz letto il vostro srticolo dull’effetto Mozar e visto che ho studiato molto bene qurlla sonata in Re Maggiore per due pianoforti ( l’hi studiata al Mozarteum di Salisburgo ed eseguita numerose volte anche a concorsi internazionali) , posso constatare che la difficolta’ esecutiva dovuta ad estrema precisione nel ritmo e nell’insieme dei due strumenti, aiutasicuramente a svegliare la mente in maniera straordinarua.Grazie per l’interessante articolo.
Armando Elle dice
Grazie a te per il tuo contributo e complimenti, diventare docente al Conservatorio è fantastico. Un saluto e a presto.