
Il problem solving andrebbe studiato nelle scuole.
La nostra esistenza infatti, che uno la guardi con la prospettiva di breve termine di una giornata, o in prospettive temporali più ampie della vita stessa, è fatta di problemi.
E non lo dico in termini necessariamente negativi.
Un problema può infatti essere divertente e stimolante, può farci crescere, può trasformarci in meglio.
Preferisco quindi definire un problema in maniera un po’ asettica, semplicemente come un ostacolo, una difficoltà che ci impedisce di raggiungere un nostro obiettivo.
Qualcosa insomma che si frappone fra ciò che desideriamo e la realtà oggettiva.

Mi capita spessissimo, quando ascolto una persona parlarmi dei sui problemi, di percepirla come se fosse di fronte a un muro che la blocca.
Il problem solving, cioè l’arte e la scienza di rimuovere o superare i problemi, è quindi una capacità fondamentale per realizzare noi stessi.
Tre livelli di risoluzione dei problemi
1. Stai camminando nella giungla, quando, fra te e il tuo desiderio di non essere mangiato, si frappone una tigre dai denti a sciabola.
E’ un bel problema.
Il tuo sistema nervoso va in allarme e in maniera istintiva ti presenta una scelta binaria fra due uniche opzioni: fight or fly, ovvero combatti o fuggi.
2. Sei uno scoiattolo e, fra te e le noccioline al fondo della stanza, qualche scienziato pazzo ha messo una serie di ostacoli che devi superare.
E’ un bel problema.
Il tuo sistema nervoso si attiva e ti spinge ad attuare una strategia che si chiama trial and error, ovvero tentativo ed errore.
Comincerai cioè a provare diverse soluzioni scegliendo quelle che ti portano a risultati più positivi e scartando quelle che ti portano a risultati più negativi.
3. Sei un manager stressato dal continuo e inspiegabile calo delle vendite, sei un ragazzo innamorato della sua migliore amica, sei una studentessa che vuole organizzare la vacanza della vita ma non ha un soldo in tasca.
Sono dei bei problemi.
Il tuo sistema nervoso si attiva per rappresentare mentalmente il problema da varie angolazioni, generare un numero elevato di soluzioni alternative, valutarle e infine sceglierne una.
E’ una strategia che si chiama problem solving.
L’ abbiamo inventata noi umani circa 250 mila anni fa, la prima volta che ci siamo seduti su una pietra a pensare, e ci rende unici come specie.
L’unicità del problem solving
Rifletti un attimo sul fight or fly. Come abbiamo visto, è una strategia che serve a risolvere determinati tipi di problemi.
Il suo limite è che non può essere migliorata.
Ovvero, puoi certamente allenarti a combattere meglio o a correre più veloce.
Ma con il fight or fly non puoi in maniera sistematica produrre soluzioni alternative in maggior numero e quantità. Perché non c’è il tempo per farlo e perché il rischio è troppo grande.
Anche il trial and error ha dei grossi limiti.
Per prima cosa, si indirizza a quello che è in quel momento percorribile in maniera evidente. Non crea cioè delle nuove possibilità.
E poi, non sempre ci si può permettere il tasso d’errore tipico di questa strategia.
O, per dirla tutta, se le conseguenze del tuo errore sono fatali , insieme alla soluzione che hai scelto sarai tu stesso ad essere scartato.
Il problem solving è invece in grado di superare o mitigare tutti questi problemi perché:
- Genera un numero più elevato di soluzioni
- Può essere allenato
- Crea soluzioni anche al di fuori di quelle apparentemente percorribili
- Contempla anche esso la possibilità dell’errore, ma lavora in maniera tale da abbassarne significativamente la percentuale
I 4 step del problem solving
Step 1 Il gioco del detective: identificare il problema
E’ lo step più importante, la conditio sine qua non.
Se non ti rendi conto di avere un problema e non ne definisci esattamente le caratteristiche, è impossibile che tu lo risolva.
Alcune volte il problema si manifesta sotto forma di eventi/risultati negativi. Per esempio “Mi hanno bocciato all’esame”, “mi hanno licenziato”, “sono in bolletta”.
Altre volte invece ti ritrovi con sensazioni negative abbastanza imprecise: “mi sento stanco/demotivato/” ,”c’è qualcosa che non va” , “non so che mi succede”.
In ogni caso, il problema va circoscritto in maniera esatta. Per farlo puoi utilizzare una tecnica molto comune nel Coaching e che consiste nel farti delle domande specifiche e darti delle risposte.
Un po’ come faceva Gigi Marzullo nella sua nota trasmissione : ))

5W e 1H. Che cosa, quando, chi, perchè, dove, come. Sono solo alcune delle domande – non necessariamente devono avere una risposta – che devi prendere in considerazione quando analizzi una situazione.
Facciamo un semplice esempio partendo dalla frase “Il mio problema è che non riesco ad alzarmi presto al mattino”.
Così come è enunciata la soluzione sarebbe semplicemente mettere la sveglia, ma proviamo ad indagare un po’ di più.
“Non riesco ad alzarmi presto come vorrei”
Perché?
“Perché sono sempre stanca”
Perché?
“Perché vado a dormire sempre tardi”
Perché?
“Perché sto a guardare la TV fino alle 2 di notte”
Ah, ecco il problema!
Quando hai un problema insomma, gioca a fare il detective e non ti accontentare della prima risposta.
Scava, domanda dopo domanda, fino a trovare le risposte che contano.
Step 2: Problem solving con l’emisfero destro: generare soluzioni alternative
Se la precedente era la parte più importante, questa è la più stimolante, ed è l’essenza stessa del problem solving: il tuo cervello destro – quello in cui risiede la creatività – deve tirare fuori delle idee per risolvere il problema.
Quante più idee possibili.
E devi scriverle tutte in ordine su un foglio di carta per averle tutte a disposizione nella fase successiva. Mi raccomando, è davvero importante: un’idea quando viene scritta non viene dimenticata e assume tutta un’altra forza.

E’ nota la teoria delle diverse competenze di cervello destro e cervello sinistro. Quello che invece molti non sanno è che la migliore efficienza nel problem solving dipende probabilmente da un maggior numero di connessioni fra i due emisferi cerebrali. L’analisi autoptica del cervello di Einstein svelò un corpo calloso (il fascio di assoni che connette i due emisferi) notevolmente più grande della media. Solo un caso?
Come nel brainstorming, l’elemento fondamentale è la quantità di idee che generi. Della qualità, in questo momento, non te ne devi proprio interessare, perché te ne occuperai nella fase successiva.
Anzi, in questa fase è davvero fondamentale sospendere ogni giudizio sulle idee che generi.
Se Copernico, per risolvere il problema che le sue misurazioni astronomiche erano incompatibili con le teorie dell’epoca, non si fosse distaccato dall’idea consolidata da secoli che la terra fosse piatta e al centro dell’universo, ben difficilmente ne sarebbe venuto a capo.
O, in altre parole, il tuo sistema di credenze consolidate ti fa navigare in sicurezza, ma allo stesso tempo ti limita e inibisce.
Se non sei in grado di spegnerlo almeno per un po’, alla fine ti ritrovi sempre con le solite 3-4 alternative.
Ma ….
Se fai sempre le stesse cose otterrai sempre gli stessi risultati! (Einstein? Con le frasi di facebook non si sa mai)
Impara a far parlare anche l’emisfero destro, per il quale nulla è troppo assurdo o audace, e vedrai che uscirai dai soliti schemi.
Step 3 Problem solving con l’emisfero sinistro: Valutazione e selezione delle alternative.
Se lo step 2 deve essere il regno del tuo emisfero destro, nel 3 entra in campo il cervello sinistro, quello che soppesa, valuta e decide in maniera logica.
Solo che la vita non è matematica e quindi, in questo caso, la logica ha dei grossi limiti e ti ritroverai, una volta scartate la maggior parte delle soluzioni pensate nella fase 2, con una rosa ristretta di alternative, tutte possibili.
Valutale allora sulla base di tre parametri:
- Risultati attesi
- Tempo
- Rischi
Nella mia esperienza è sopratutto sulla gestione del rischio che devi focalizzarti.
Tendiamo infatti, una volta che abbiamo un piano per risolvere un problema, a farci prendere dall’entusiasmo e dimenticarci del fatto che le cose possono anche andare male.
E’ un atteggiamento dovuto alla pressione sociale: nessuno vuole passare per la Cassandra di turno o per il Puffo brontolone. E poi, che diamine, i Guru dicono di essere ottimisti e di visualizzare il successo!
Il risultato è che, quando la soluzione che abbiamo pensato non funziona, ci ritroviamo schiantati a terra e senza alcun piano B.
Un buon problem solving invece deve contemplare la possibilità dell’insuccesso e deve sempre avere un piano B.
Step 4. Fra il Dire e il Fare: Implementazione e monitoraggio delle soluzioni
Il fatto di aver trovato una soluzione non significa che il problema sia risolto.
Soprattutto nel mondo del lavoro, è davvero comune vedere che una soluzione, nella fase di implementazione, venga abbandonata a se stessa per passare alla risoluzione (a questo punto velleitaria) del problema seguente.
Nella sfera personale invece capita che, avendo trovato una soluzione al problema, la abbandoniamo perché non ci piace o perché non abbiamo il coraggio di portarla avanti.
Il problem solving si completa solo quando dà luogo:
- A un piano d’azione dettagliato
- A un sistema di monitoraggio dei risultati.
Se no è sostanzialmente inutile. Ore e ore di riunioni o giornate a pensare guardando il muro per poi non arrivare a nulla.
Qualunque soluzione poi, per quanto perfetta sulla carta, ha bisogno di qualche correzione nella pratica.
Se la monitori, te ne accorgi e fai gli aggiustamenti.
Se no, ti ritrovi qualche mese dopo a chiederti come mai non hai ottenuto il risultato atteso.
C’è infine un gruppo speciale di persone, quelli che chiamo i procrastinatori perfezionisti, che con la scusa di trovare una soluzione perfetta alla fine non escono mai dalla fase di “solving”.
E’ un chiaro sintomo della paura di passare all’azione.
Ricorda:
- Una soluzione così così ma portata avanti con costanza, dà spesso grandi risultati, anche perché si potrà aggiustare progressivamente nel tempo
- Una soluzione molto brillante ma che non viene implementata, non porta da nessuna parte
Problem solving e atteggiamento mentale
Oltre a seguire in maniera sequenziale i 4 passi specifici che ti ho appena descritto, devi avere l’atteggiamento mentale giusto.
Ogni volta che ti fai prendere da emozioni e sentimenti negativi, il tuo cervello si sposta un pochino verso la modalità fight or fly.
Abbiamo visto che è perfetta quando incontri una tigre, ma quando si tratta di problemi complessi essa limita la tua capacità di generare e valutare idee.
Si tratta di una situazione molto comune nei gruppi di lavoro: antipatie personali o meccanismi competitivi scaldano gli animi delle riunioni e inevitabilmente si abbassa la qualità delle soluzioni generate.
Ma anche a livello di problem solving personale capitano situazioni analoghe, quando lo stress e la paura generati dall’incertezza limitano le tue capacità di risolvere i problemi.
Alla stessa maniera, anche emozioni e sentimenti eccessivamente positivi danneggiano la tua capacità di fare problem solving, facendoti sopravvalutare le tue capacità (o quelle della tua organizzazione) e sottovalutare gli ostacoli.
Dice il saggio:
Non promettere quando sei felice, non rispondere quando sei arrabbiato, non decidere quando sei triste
Se devi fare problem solving e senti che emozioni negative o positive ti stanno condizionando, fai 4 grandi respiri e cerca di riportarti mentalmente a un tono dell’umore e a un atteggiamento mentale neutri.
Problem solving analitico Vs momenti Eureka!
Abbiamo visto come il problem solving porti alla soluzione attraverso un processo ordinato, metodico, ben definito.
Non è però sempre così.
Si dice che Gerone, Basileus di Sicilia e re di Siracusa, chiese ad Archimede di trovare una maniera per scoprire se una corona d’oro contenesse, oltre all’oro puro, anche metalli meno preziosi.
Archimede aveva riflettuto per settimane sul problema senza trovare alcuna soluzione.
Un giorno, mentre era nella vasca da bagno, improvvisamente “vide” la soluzione. E’ un po’ complessa da spiegare qui, ma per chi è curioso ecco un link.
Comunque, la soluzione che trovò lo portò a formulare il principio di Archimede: la spinta idrostatica che subisce un oggetto in acqua è uguale al peso del fluido spostato dall’oggetto.
L’intuizione lo colpì così profondamente che si dice saltò fuori dalla vasca da bagno e corse nudo per la casa gridando “Eureka” – ho trovato in greco – ansioso di appuntare l’intuizione su una pergamena (Ricordi? Le idee vanno scritte!).
La soluzione di un problema dunque, arriva a volte improvvisa come un lampo. Non come risultato di un processo di problem solving, ma come intuizione/ispirazione pura.
Non illuderti però che questa intuizione capiti completamente a caso.
Va preparata attraverso:
- Lo studio. Archimede aveva passato giorni pensando al problema
- L’attenzione e la curiosità per tutto quello che ti circonda. Milioni di persone utilizzano la vasca da bagno, ma solo Archimede ne saltò fuori nudo con un principio della fisica nella testa
Insomma, preparati e tieni sempre le antenne dritte: vedrai che arriveranno anche i grandi momenti rivelatori.
I limiti del Problem Solving
Affrontare la vita, il lavoro, lo studio, addirittura le relazioni, conoscendo e applicando la metodologia del problem solving, può dare grandi risultati.
Come sempre però, c’è un MA….
Ragionare esclusivamente in termini di problem solving tende a concentrare gli individui e le organizzazioni solo sul breve termine e su ciò che è evidente.
Il problem solving cioè è un sistema reattivo, che si mette in moto solo in presenza del problema.
Alcune volte però, è una cosa che sappiamo tutti, quando un problema si manifesta è già troppo tardi.
Lo sa bene chi lavora in ambito medico.
E’ solo negli ultimi decenni che, grazie a un totale cambio di mentalità, si è cominciato a cercare di anticipare i problemi attraverso massicce campagne di prevenzione.
Tanto che è nata una vera e propria nuova branca medica, quella della medicina preventiva, che tra l’altro sta dando risultati eccezionali.
Ho la sensazione che, a livello di piccole organizzazioni e di vita quotidiana, siamo molto lontani da quel tipo di mentalità.
Continuiamo ad aspettare che il problema si presenti e a prendere iniziative solo dopo che esso è esploso in tutta la sua evidenza.
In parte proprio per la fiducia che abbiamo nelle nostre capacità di problem solving.
In parte perché, incalzati dal quotidiano, non abbiamo tempo e attenzione per cogliere le “piccole, silenziose trasformazioni che poi, di colpo, esplodono in eventi” (cfr. Francois Jullien).
Prevenire è meglio che curare, amico/a mio/a.
Quindi non limitarti a cercare continuamente delle soluzioni per reagire alla vita che accade, ma prenditi il tempo ogni giorno per guardare lontano.
Davide dice
Ciao Armando,
volevo porti un paio di domande:
sul punto “dello scrivere le proprie idee” hai un sistema efficace da consigliarmi? Nel senso che sia veloce e renda la ricerca delle idee passate un compito semplice. Quando ho un idea la maggior resistenza che incontro è riuscire ad appuntarle in modo veloce e a ritrovarle quando servono.
Inoltre vi è un sistema che permette di coltivare il giusto approccio al nostro focus ed approccio sui problemi: dal dettaglio e problem solving, al generale e proattivo?
Grazie
Armando Elle dice
Ciao Davide, per quanto riguarda un sistema di raccolte e classificazione idee, secondo me l’app evernote (ne parlo in questo articolo https://www.gliaudacidellamemoria.com/le-10-migliori-app-per-studiare/) è ottima. Sull’altro punto non ho capito bene la domanda, riesci a speigarmi meglio?